di Riccardo Bramante
“Speravo de morì prima” è il titolo della serie in sei episodi che Sky ha prodotto, basandosi sul libro “Un Capitano”, scritto da Francesco Totti insieme al giornalista Paolo Condò, che racconta l’ultimo travagliato anno e mezzo di carriera dell’ex capitano della Roma conclusa, suo malgrado, con il ritiro dai campi da gioco dopo 27 anni trascorsi in quella società sportiva.
Il titolo prende lo spunto da uno striscione apparso sugli spalti dello stadio Olimpico il giorno dell’addio di Totti al calcio giocato e manifesta appieno il senso di dolore e di smarrimento che colpì tutti i tifosi quel pomeriggio.
E’ la storia della sua carriera raccontata attraverso immagini d’archivio e della vita privata del fuoriclasse italiano impersonato nella serie da Pietro Castellitto, stessi occhi azzurri e stessa passione romanista, e da un credibilissimo Gianluca Tognazzi nelle ingrate vesti di Luciano Spalletti, l’allenatore che volle l’allontanamento di Totti dalla Roma.
Un racconto, a volte doloroso, di vita vissuta in cui si mischia anche la commedia scandita dalle battute divertenti del protagonista che viene visto anche nella sua vita privata di padre, figlio e marito.
Intorno all’antagonismo tra il Capitano e Spalletti (“il buono e il cattivo” dei film western?) si muovono gli altri personaggi: una effervescente Monica Guerritore nei panni della madre “sergente” Fiorella, Greta Scarano nella parte della moglie accudente e decisa Ilary Blasi e Giorgio Colangeli, il padre Enzo, purtroppo deceduto qualche mese fa.
Il tutto si incentra nello scontro di due forti personalità: quella di Totti che è divenuto e si sente veramente “l’ottavo re di Roma”, e quella del ritornante Spalletti che considera ormai ”vecchio” il primo e non più funzionale al gioco di squadra che lui ha in mente per la nuova Roma; si aggiunga a ciò screzi e incomprensioni risalenti già alla prima avventura dell’allenatore con la squadra avvenuti alcuni anni prima e mai dimenticati dal permaloso “mister” toscano e si comprende facilmente la sopravvenuta incompatibilità tra i due che ha portato all’abbandono di Totti nel più struggente addio al pallone della storia del calcio ma anche al successivo “defenestramento” dell’allenatore per una ormai evidente incompatibilità con l’ambiente dei tifosi.
La serie si avvale della notevole interpretazione di Pietro Castellitto che non ha voluto ricercare tanto la somiglianza fisica con Totti quanto ricercarne gli stati d’animo e i sentimenti più profondi; e la migliore critica gli è arrivata proprio dal Capitano che ha detto:” Ha cercato di farmi uscire in tutto e per tutto come sono realmente. Ho visto cose del mio carattere che non conoscevo”.
In definitiva, una serie molto diversa dal recente film di Infascelli “Mi chiamo Francesco Totti”, lavoro molto più elaborato ed evocativo ma senz’altro meno emotivamente coinvolgente; le due esperienze, però, si completano a vicenda fondendosi in un unico quadro perché capaci entrambe di far diventare tutti gli spettatori “Francesco” a cui non si può voler bene a prescindere se si sia o meno romanisti.