dai Social – Alessio Ginella Fucile 

Tra le ultime fatiche pittoriche del grande Michelangelo, «Conversione di Saulo», è stata eseguita, insieme alla «Crocifissione di Pietro», tra il 1542 e il 1450, per il papa Paolo III, nella Cappella Paolina, cuore del Palazzo Apostolico. Il Buonarroti appena conclusa la grande fatica del Giudizio Universale, stanco, malato, anziano, preoccupato dal progetto della cupola di san Pietro, si rimette al lavoro. Il tema è dato da due momenti essenziali della vita del cristiano: la conversione ed il martirio, offerti alla meditazione del Pontefice.
 
L’ambiente, noto come “cappella parva” piccola, in contrapposizione alla vicina Sistina, “cappella magna”, è stato da sempre luogo riservato al Papa, destinato all’esposizione del Santissimo Sacramento. Gli affreschi, testamento spirituale dell’artista, testimoniano l’agitazione e la tristezza che abitano la sua interiorità in questo periodo della sua vita. Dall’espressionismo e la tensione drammatica delle pareti sembrano erompere le lacerazioni del mondo cristiano seguite alla Riforma, ma anche il dolore per la morte dell’amata amica, la poetessa Vittoria Colonna. Le analisi della superficie svelano un pittore agitato, poco concentrato, discontinuo, con lunghe interruzioni e molti pentimenti effettuati a secco.
 
Nel libro degli Atti degli Apostoli, così Paolo descrive l’evento che gli ha cambiato la vita: «Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”». Da questo testo attinge Michelangelo per affrescare la prima scena della Cappella in cui sembra mancare un centro unificatore, come era stato per tutto il Rinascimento. Inoltre l’opera venne criticata per la mancanza di rapporti proporzionali. Il braccio destro di Cristo appare sovradimensionato rispetto al corpo; gli angeli attorno sono sensibilmente più piccole rispetto alla figura di Gesù.
 
Lo scorcio della fuga del cavallo che ha disarcionato il protagonista, separa il primo piano dallo sfondo delle colline sulle quali si intravede Damasco, rappresentata come una città greca. È un lieve accenno, però: il paesaggio è, nell’insieme, quasi astratto e privo di ulteriori indicazioni topografiche che distrarrebbero l’attenzione dall’evento.
 
Paolo è disarcionato, non solo dall’animale ma anche dalla sua presunzione, dal suo orgoglio, dalla sua illusoria forza morale. È costretto ad accettare che non può nulla senza l’amore di Dio che lo sta avvolgendo. Un giovane scudiero cerca di domare il cavallo imbizzarrito ma viene trascinato dalla sua forza. Il pesante corpo di Saulo, sorretto a fatica da due compagni, sembra proiettato al di fuori della superficie dipinta. Ha gli occhi chiusi e cerca di proteggerli, per ricordare i tre giorni in cui rimase cieco.
Sebbene l’evento sia avvenuto durante gli anni giovanili del protagonista, il suo volto è quello di un uomo avanti negli anni che cerca la luce della verità. Qualcuno suggerisce a una licenza autobiografica del pittore. Inoltre rappresenta l’uomo bisognoso di una luce superiore che dia senso alla sua vita. Audacissima la prospettiva con cui dall’alto si protende Cristo da cui si irradia una luce soprannaturale che taglia verticalmente in due la scena. Gesù scende in un bagliore accecante a toccare il cuore di colui che diverrà l’Apostolo delle Genti. La grazia gli è donata inspiegabilmente anche per la salvezza di altri uomini. Gli angeli in cielo e i compagni di Saulo a terra, si fanno da parte, per lasciar spazio all’incontro, assordante, tra il divino e l’umano. L’immagine ha forte carica drammatica nel turbinio di figure con posture contorte e disarticolate ma nello stesso tempo ispira pace e sicurezza, proprie della maturità dell’uomo interiormente illuminato dall’incontro con il Signore. Nel volto di Paolo si percepisce il messaggio della Cappella: lo stupore di fronte alla grazia che rinnova l’uomo mediante la luce della sua verità e del suo amore, nonostante le sue ferite e debolezze. 
 
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