dai Social – Maria Farina
 
Nel marzo del 1993 il fotografo americano Kevin Carter atterra in elicottero in un piccolo villaggio del Sudan, arrivato – a seguito di una missione umanitaria dell’ONU – per scattare foto e testimoniare le condizioni disperate di quel Paese.
Appena atterrato, l’elicottero viene circondato da un gruppo di persone in cerca di cibo e aiuto e Carter inizia a muoversi per il villaggio alla ricerca di un soggetto per il suo lavoro.
Si accorge a un certo punto della presenza di un bambino, lasciato solo dai genitori che sono accorsi all’elicottero in cerca di cibo.
Il bambino ha il viso rivolto a terra e, proprio mentre lo osserva, Carter vede un avvoltoio avvicinarsi al piccolo: impressionato dalla scena, scatta una foto.
L’immagine, pubblicata poco dopo sul New Tork Times, diventa subito celebre grazie alla sua capacità di rappresentare in maniera forte e chiara la situazione disperata di alcuni paesi dell’Africa e di gran parte del “terzo mondo”.
 
Molti, a quel tempo, chiedono a Carter cosa ne sia stato del bambino ma lui non risponde portando alcune persone ad attribuire questo suo silenzio a un ipotetico senso di colpa, dovuto al fatto che (anche per la concitazione della missione ONU) si era allontanato dal piccolo subito dopo lo scatto. Da qui nascono insinuazioni pesanti che porteranno Carter alla depressione, tanto che in un’intervista dichiarerà di odiare quella foto e di maledire il momento in cui l’ha scattata.
Nel 1994 lo scatto vince il premio Pulitzer ma nello stesso anno Kevin Carter si suicida, caduto nel baratro della depressione anche per le violenze e le crudeltà di cui è stato testimone in Africa.
Fonte: fotografia europea.