Di Felicia Pinelli

In memoria del “lumicino di coda” Antonio, figliol che troppo presto ci lasciasti.

Amedeo Trivisonno, nato a Campobasso il 1904 e morto a Firenze nel 1995, studia specializzazione di pittura nei corsi artistici dell’Accademia di Roma e si perfeziona poi a Firenze.
Attratto dal Rinascimento, studia tutti i pittori antichi per cui si interessa anche all’anatomia del corpo umano, al punto tale da passare ore nelle sale operatorie dell’obitorio per assistere alle autopsie e in contemporanea prende lezioni di chimica per comprendere bene la materia.

Trivisonno è affascinato dalla tecnica dell’affresco; frequentemente lo si vedeva eseguire i suoi esperimenti pittorici “a fresco”, sulle pareti bianche ancora vuote delle case in costruzione.
Amava osservare tutto il Maestro, e spesso diceva: “Il disegno è l’arte dell’osservare, è il lavoro che porta l’ispirazione, ma poi è il risultato che conta, ossia l’opera”. Amava tenere un diario su cui annotava ogni singola cosa, ogni emozione; sono le sue “Memorie” , una autobiografia in versi che in seguito è stata pubblicata nel 1989.

Il Maestro era molto devoto nella fede cristiana e fa del suo amore per Maria, la Madre celeste, il suo stile di vita; quattro delle sue figlie portano questo nome, e anche la sua amatissima moglie si chiamava Maria Rosaria; la sposa nel 1927 e con lei forma una famiglia numerosa, 12 figli, di cui 9 viventi fino a qualche anno fa; attualmente cinque sono le figlie dalle quali ho attinto informazioni sul Maestro e che ringrazio vivamente.

Trivisonno inizia giovanissimo ad affrescare Chiese, già a soli 22 anni con le Storie di San Nicola di Bari a Pollutri in Abruzzo, poi a Isernia, dove rappresenta l’Assunzione della Vergine con i Santi e Profeti. Si trasferisce con tutta la famiglia a Roma nel ’30 e apre uno studio in piazza Dante, nel ’32 espone in due mostre personali ritratti, paesaggi e nature morte, non tralasciando mai di affrescare chiese nelle località vicine, come Arpino ed Antrodoco.
Ritornato a Campobasso, su commissione dell’allora Vescovo Romita lavora agli affreschi della Cattedrale in cui sono raffigurate storie del Vecchio e Nuovo Testamento per una estensione di oltre 150 metri di parete. L’opera viene compiuta dal 1935 al 1938 salvo un breve soggiorno a Napoli chiamato dall’amico Emilio Notte come suo assistente alla cattedra di affresco presso l’Accademia. E a Napoli torna nel 1940 per affrescare il Salone reale nella Mostra d’Oltremare.

La fama del Maestro è ormai inarrestabile; durante la seconda guerra mondiale molti sono i soldati e gli ufficiali stranieri che si fanno fare i ritratti da mandare ai propri cari, e che ora si trovano dappertutto: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, etc. Si susseguono diverse mostre in Italia tra cui Milano dove espone dipinti e cartoni. Affresca chiese, anche piccole cappelle, in vari paesi e città. In ogni paese con una pur piccola chiesetta in cui c’è una sua pennellata, tutti sono fieri di poter godere delle sue opere.
Le sue passioni sono infinite, è un pozzo di aggiornamento continuo, si dedica persino a comporre musica sacra, tenendo conferenze su Bach e Chopin. Amerà dire alle proprie figlie: “La pittura è come la musica, ha lo stesso linguaggio, una accontenta l’occhio, l’altra l’orecchio”.
Nel 1952 Trivisonno si trasferisce a Il Cairo dove insegna pittura nella Scuola d’arte italiana e contemporaneamente esegue affreschi in tre chiese locali.
Pensando di dare maggiore possibilità di studio ai propri figli, il Maestro ritorna in Italia nel 1967 e si trasferisce a Firenze insegnando in un liceo scientifico fiorentino, ma tornando spesso in Molise.
Amedeo Trivisonno era un Maestro nel vero senso della parola , trasmetteva tutto quello che sapeva agli altri, agli alunni, ai figli.
Non si risparmiava per l’arte e soffrì moltissimo per la morte prematura del suo “lumicino di coda” (come lo chiamava lui), il suo figliolo scomparso a soli 38 anni. Trovò conforto nell’amore e passione per l’arte.

La maggioranza delle opere del Maestro sono tutte monumentali, dal già citato affresco nella Cattedrale di Campobasso a quello presso Colle d’Anchise, una “Ultima Cena” che misura 72 metri quadrati. La grandezza della sua arte si può vedere anche nella Basilica Minore dell’Addolorata di Castelpetroso, dove dipinge otto grandi tele, di cui sei rappresentano i dolori della Madonna e due la Resurrezione e l’Assunzione. Per queste tele i modelli sono stati i familiari e spesso i paesani, la gente del posto, con i loro volti segnati, stanchi ma reali.


Durante la sua vita il Maestro non ha mai smesso di imparare; nelle “Memorie” scrive del suo incontro a Milano con Giorgio De Chirico, incontro in cui si scambiarono opinioni ed informazioni sulle tecniche pittoriche. Negli ultimi giorni di vita termina un autoritratto, nel quale si ritrae all’interno di un paesaggio del Castel Monforte, nella sua amata Campobasso.
Del Maestro restano più di mille tra studi di disegni preparatori, schizzi, cartoni d’affresco molti dei quali donati dai figli alla città di Campobasso o acquisiti dalla Regione Molise.