Drammaturgo, regista teatrale, saggista, fondatore del Festival Internazionale del Teatro di Taormina nel lontano 1976, Rocco Familiari si è dedicato anche all’attività di scrittore esordendo nel 2006 con il romanzo “L’odore” a cui sono seguiti poi altri scritti tra cui ricordiamo “Il sole nero”, “Il nodo di Tyrone”, “Per interposta persona”, “Ragazzo che lanciava messaggi nella bottiglia”, molti derivanti da suoi precedenti lavori teatrali.
Torna ora con questo suo ultimo libro “Donna Brigantia e altre storie” in cui l’autore traccia una sorta di “geografia dell’anima” di una Calabria appena uscita dalla Seconda Guerra mondiale, arretrata e talvolta primordiale, attraverso una galleria di personaggi che disegnano il quadro dell’Italia meridionale del dopoguerra ma che acquistano il valore simbolico universale di una umanità viva e a volte dura.
E’ un ritorno alla sua Calabria tanto amata che aveva già descritto ne “Il sole nero” (da cui anche l’omonimo film diretto da Krzysztof Zanussi e interpretato da Valeria Golino), cruda rappresentazione del carattere dei calabresi con tutti i loro eccessi sia nelle virtù che nei difetti.
Questa volta le storie dei singoli personaggi (29 in tutto) “sono nate di getto”, dice Familiari, “senza un piano preciso, ma poi si sono composte da sole” fino a divenire una sorta di “Spoon River” del paese calabro in cui si svolgono (probabilmente Melito Porto Salvo) trasfigurate nei ricordi dell’autore che dà loro la consistenza di iconiche immagini di un’Italia che fu. Tutti i personaggi hanno soprannomi piuttosto singolari che ne denotano le caratteristiche fisiche o caratteriali, come si usa tuttora nei piccoli paesi, a cominciare da Donna Brigantia, femmina “statuaria, leonina, puttana” che incute timore anche ai clienti della sua trattoria, a Arzabandera (nomen omen!) giovane paesano affetto da priapismo che rende felice la moglie con conseguente invidia delle altre donne, a Peppelatru (in italiano Peppe ladro) proprietario della pescheria del paese che faceva passare per pesce fresco il pesce congelato e fa del soprannome l’insegna “ufficiale” della propria bottega e così tanti altri, rappresentati tutti con fisionomie ben definite derivanti dallo stile dell’uomo di teatro e drammaturgo proprio dell’autore. Si differenziano dai precedenti “ritratti” le ultime due storie, “L’aspettatore” e “Il necrologista” che hanno la forma di un racconto compiuto e che, pur essendo frutto della fantasia dell’autore, rappresentano figure potenzialmente universali di chi vive nell’attesa di qualcuno o qualcosa che non arriverà mai (il primo) e di chi da un ossessivo e curioso collezionismo arriva a risultati impensati, simbolo di un arrivismo e di una conseguente fama fondata sul niente molto comune al giorno d’oggi.
Si compone, così, una sorta di affresco di società contadina in cui fantasia ed estro trovano ispirazione anche in fatti e situazioni realmente avvenuti fino a creare un piccolo microcosmo che Familiari indaga con un interesse antropologico non asettico ma descritto, al contrario, con una sottile ironia che pervade le pagine e ti coglie all’improvviso attraverso una battuta inattesa, un riferimento sardonico all’attualità, una frase elegantemente “deformata” tale da esprimere il benevolo disincanto dell’autore di fronte ai vizi e ai difetti dei suoi personaggi.
Il tutto si fonde in una scrittura energica e colta che non scade mai nel folkloristico per la particolare attenzione posta al linguaggio che è scorrevole e piano (anche se non sempre “politically correct”) ma tale, comunque, da fare del libro uno dei più riusciti nel quadro della narrativa contemporanea.
di Riccardo Bramante