Le eccellenze delle nostre terre: Vincenzo Cardarelli
Il 18 giugno del 1959 moriva a Roma un grande poeta di Tarquinia: Vincenzo Cardarelli. Sono passati 60 anni dalla scomparsa, ma le sue poesie, che sono spesso andate “oltre” l’Infinito di Leopardi, alla ricerca di una Bellezza interiore ed esteriore e “oltre” le parole, hanno segnato il Novecento e anche la realtà odierna.
“Qui rise l’Etrusco, un giorno, coricato, cogli occhi a fior di terra, guardando la marina.
E accoglieva nelle sue pupille il multiforme e silenzioso splendore della terra fiorente e giovane,
di cui aveva succhiato il mistero gaiamente, senza ribrezzo e senza paura, affondandoci le mani e il viso…”.
Così parlava il poeta della sua Tarquinia, dove nacque, culla della sua infanzia; città che egli lasciò da giovane, ma alla quale rimase sempre legato da un intenso rapporto d’amore.
In una lettera a Sibilla Aleramo, datata Roma, agosto 1909, Vincenzo Cardarelli scriveva: “… un artista non è soltanto un creatore della Bellezza, ma un suscitatore della Bontà; perché Bontà e Bellezza sono due nomi che esprimono una sola forma di vita superiore”. Si tratta di una sorta di “manifesto” poetico. La poesia come bontà e bellezza; le poesie e la vita diventano esempi da seguire, modelli di estetica e di emozione. Attraverso il sentimento della parola e dei versi si cerca un accordo con la voce, con la musica della vita e i silenzi dell’anima.
I codici linguistici da lui usati, legati alla tradizione, sono legati all’interiorità, alla malinconia, ai ricordi, alla nostalgia, ai paesaggi geografici, vicini a Tarquinia, terra etrusca. La sua poesia è arte, consapevolezza e dolore; è storia di una vita e di tante vite; è un viaggio nella sua anima e nella nostra; il vento rapisce e trascina, su ali di gabbiano, i ricordi dell’infanzia, tra i sentieri dell’esistenza, a cui si aggrappa la nostra interiorità più profonda per trovarne il senso. La vita in fondo è solo un viaggio in questa Terra; la poesia è un percorso nell’anima; delle nostre vite forse resta solo poesia. I “Prologhi” di Vincenzo Cardarelli portano la data del 1916, in piena Prima Guerra Mondiale. Un periodo di sofferenza e di morte.
Nel numero 7 , datato luglio 1959, della rivista “l’Osservatore politico letterario”, dedicato a Vincenzo Cardarelli (1887 – 1959), G. Titta Rosa sottolinea l’importanza dello “stile popolare” e il “gusto dell’arte” presenti sia nella poesia che nella prosa dello scrittore.
Gli Etruschi, i veri antenati di Cardarelli e della sua terra l’Etruria, il ritorno al proprio paese sono elementi di una poetica in cui il sentimento onirico si sposa con la realtà, fatta di attesa, di partenze e anche di ritorni.
“Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.”
I toni malinconici sono di una bellezza unica.
“Saluto nel sol d’estate/la forza dei giorni più uguali”, dei meriggi, del mare e delle stagioni(“Benvenuta estate./Alla tua decisa maturità/m’affido”).
Benvenuto luglio e benvenuta estate, ricordando i grandi poeti delle nostre terre etrusche.
La poesia accoglie sempre, come Tarquinia. Sul belvedere, in cima alla salita dell’Alberata, dove la gente d’estate va a cercare il fresco, è incisa la frase di Cardarelli: “Qui tutto è fermo, / incantato nel mio ricordo. / Anche il vento.”