Il concept di “Machine”, nuovo estratto che lancia questo Ep al governo insindacabile della rete, sembra chiaro: la ricerca di origine e verità dentro le trame di un futuro che investe nelle macchine, nei cyborg, nella vita eterna. “Spaceship” è l’esordio discografico dei Black Whale, formazione campana dentro cui militano Carlo Nunziata (chitarra), Giovanni Pone (testi e voce), Antonio Marotta (batteria), Antonio Capolongo (basso) e poi si citano doverosamente anche Ciro Galante al mix e Giovanni Nebbia alla fase di mastering. E questo post rock inglese dai decisi ricami pop anacronistici e digitali. Noi indaghiamo come possibile tra queste pagine nostre dentro cui cerchiamo la virtualità nell’arte e nelle espressioni…

Un lavoro simile ci dà lo spunto per tirare fuori argomenti di salvaguardia del nostro pianeta. Certamente lo stiamo violentando: secondo voi è un processo inarrestabile?
Le distopie sul futuro non fanno ben pensare, è un grande classico guardare scenari apocalittici in cui l’autodistruzione gioca un ruolo principale. Crediamo che ognuno di noi possa fare la sua parte nel proprio piccolo, ma siamo convinti che le istituzioni debbano impegnarsi seriamente in favore di un miglioramento della qualità della vita che oggi va completamente nell’altra direzione.

“Spaceship” e la vostra scrittura come si pone in tal senso? Fate critica e denuncia o immaginate solo un futuro di nuovi equilibri?
Il nostro primo EP prende spunto da situazioni di vita vissuta nel presente: relazioni tossiche, rabbia, storie finite male. Situazioni che ci spingono per forza di cose alla ricerca di un sollievo che in quest’occasione abbiamo trovato lasciandoci cadere nello spazio aperto.
C’è sempre tempo per critica e denuncia costruttiva, per creare nuovi equilibri. Per noi è importante agire, anche sbagliando, ma creando i presupposti che ci permettano di non reiterare gli stessi errori all’infinito.

E cosa mi dite delle macchine? Cosa significa per voi il progresso parlando di macchine e di tecnologie?
Il nostro rapporto con le macchine è complesso. Amiamo la musica suonata, ma sappiamo che la musica si sta dirigendo in luoghi più elettronici. Ci piace pensarci come una “resistenza”, siamo quelli che per amore della musica non si arrendono al fatto che sono rimasti pochi club in cui portare un progetto del genere. Siamo anche quel genere di persone che seguono le evoluzioni e cercano di migliorare con spirito di adattamento. “Spaceship” è un punto di partenza, siamo già alla ricerca di nuovi sound da integrare per il prossimo EP.

E la sostituzione dell’uomo non è già in atto secondo voi? “Machine” in fondo fotografa qualcosa di ampiamente conclamato…
Il secondo singolo è nato dalla domanda “siamo uomini o macchine?”. Siamo sempre di più costretti ad andare veloci: nelle relazioni, nella vita, nei sentimenti, ad accantonare ciò che ci rende umani perché rallenta la corsa. Il protagonista del video è un uomo che preso dal dolore rinuncia alla libertà e dona il proprio corpo alla ricerca per la vita eterna.

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Perché un’animazione grafica per un discorso così distopico e futuristico? Quasi che non debba essere preso “sul serio”?
Abbiamo intrapreso la strada dell’animazione 2D con Quepod Lab perché eravamo alla ricerca di ambientazioni complesse che non avremmo mai potuto ricreare sulla Terra. Un lavoro lungo 4 mesi fatto di scrittura, character design, sviluppo e realizzazione. L’abbiamo presa sul serio fin dall’inizio per creare un prodotto indipendente che valga la pena guardare.

Il vostro personalissimo modo di reagire al futuro?
Nella nostra idea di futuro le macchine dovrebbero semplificare la vita dell’uomo migliorandone la qualità. Il futuro va abbracciato con tutti i suoi problemi, bisogna resistere ed adattarsi.

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