di Riccardo Bramante

E’ un anno che Andrea Camilleri ci ha lasciato e in voluta coincidenza ci arriva il suo ultimo regalo postumo, “Riccardino” il libro di addio dello scrittore siciliano al suo personaggio più celebre il Commissario Montalbano, così come aveva fatto a suo tempo un altro famoso scrittore di libri gialli, sir Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes.
Possiamo dire che sia stato un vero colpo di teatro (di cui peraltro era maestro) quello di Camilleri di voler mettere fine “di pirsona personalmente” (Catarella docet) al suo iconico personaggio.


Infatti, pur essendo stato uno sceneggiatore, regista e drammaturgo di valore, Camilleri ha raggiunto la popolarità proprio con la serie televisiva del “Commissario Montalbano” impersonato dall’attore Luca Zingaretti, in cui oltre agli intrecci a volte ironici a volte oscuri come in ogni giallo che si rispetti, Camilleri ha profuso il gusto del dialetto, quasi bandito dai tempi di Carlo Emilio Gadda, vivacizzando i testi con il siciliano che da “lingua bastarda”, come lui chiamava quella ascoltata da bambino, ha trasformato nella “lingua inventata” di Vigata che permea tutti i suoi racconti.

Molto originale fin dalla nascita è questo suo ultimo lavoro scritto tra il 2004 e il 2005, quando aveva già 80 anni e pensava, erroneamente, di aver concluso la sua parabola di scrittore di successo in quanto scrisse ancora numerosi racconti e ben 18 romanzi fino al 2018. Il manoscritto fu lasciato in un cassetto con l’esplicito desiderio che uscisse dopo la sua morte, desiderio che la sua casa editrice Sellerio ha rispettato apportando solo, d’accordo con l’autore, alcune revisioni linguistiche nel 2016 che hanno interessato peraltro solo il dialetto siciliano che, come qualsiasi altra lingua, si era nel frattempo alquanto evoluto.

La trama, però, rimane inalterata e nella sostanza prepara l’uscita di scena del protagonista Montalbano con cui l’Autore si confronta in una sorta di “metaromanzo dove il commissario dialoga con me e anche con l’altro Montalbano, quello televisivo”, dice lo stesso Camilleri, in un intreccio a volte surreale e molto pirandelliano in cui è lo stesso Autore ad entrare in scena mal tollerato dal Personaggio che si vede rubare il ruolo di protagonista.

L’incipit è molto simile a quello di altri libri di Camilleri: in piena notte il commissario viene svegliato dalla telefonata di un certo Riccardino che gli chiede, con aria concitata, di incontrarsi il mattino seguente ma qualche ora dopo lo stesso commissario viene informato dai suoi collaboratori che Riccardino è stato ucciso.

Inizia l’inchiesta che vede, però, un commissario Montalbano poco interessato alla stessa e vittima di una serie di telefonate da parte di Camilleri che da Roma gli suggerisce diverse piste utili per risolvere l’omicidio. “Com’è che nell’autri romanzi tu non comparivi mai e in questo vieni a scassare i cabbasisi ogni cinco minuti?” chiede il Protagonista al suo Autore in una sorta di duello verbale in cui, da una parte, Camilleri lo accusa di volere che i romanzi su di lui diventino in futuro “illeggibili” e, di converso, il commissario lo invita a dimenticare il suo personaggio e dedicarsi, magari, a scrivere romanzi storici.

In definitiva, qui non è la risoluzione del caso il punto focale (che lasciamo al piacere di scoprire al lettore) ma piuttosto il dispiacere dell’Autore per il commiato dal Personaggio da lui creato a cui si aggiunge un retrogusto surreale e quasi paradossale quando è lo stesso commissario a voler porre la parola “fine” alla loro “collaborazione” realizzando di essere “io il pupo e tu il puparo”.

Di certo è questa la fine più logica, anche se alquanto amara, per una serie che è sperabile non abbia un destino di infinita riproducibilità, come testimonia anche il tentativo di continuare la serie con “Il giovane Commissario Montalbano” certamente non all’altezza della penna del grande Camilleri.