di Felicia Pinelli

La posizione strategica del castello di Venafro, ubicato su un colle, consente di dominare tutta la valle del Volturno , la Campania e il Lazio per cui ben si adattava ad esigenze difensive di controllo del territorio. Molti sono i feudatari che l’hanno abitato nei secoli passati e ognuno di essi ha apportato modifiche e ampliamenti.


In epoca longobarda il Castello era costituito da un’unica torre quadrata; dopo la distruzione da parte dei Normanni e degli Svevi fu ricostruito con l’architettura tipica degli Angioini , le tre torri cilindriche il camminamento di ronda e il fossato, poi con gli Aragonesi si ebbero ampliamenti e ristrutturazioni soprattutto nelle sale di rappresentanza .
Con la salita al trono di Napoli di Alfonso d’Aragona il Castello fu ceduto insieme a tutta la contea al condottiero Francesco Pandone come ringraziamento per i servigi svolti combattendo gli Angioini il quale a sua volta continuò a modificare il maniero apportando un meccanismo di raccolta per l’acqua piovana .

Successivamente il Castello passò al figlio Enrico Pandone Conte di Venafro che lo trasformò in residenza signorile e che, tra il 1522 e il 1527, lo abbellì con la loggia e con cicli di affreschi di ritratti dei suoi cavalli preferiti.
Dopo essere stato condannato e giustiziato per alto tradimento tutto il feudo passò ai Colonna, ai Savelli, ai Caracciolo e infine ai di Capua. Durante la seconda guerra mondiale molte famiglie di sfollati trovarono ricovero nel Castello e solo nel 1979 è stato acquisito dal Ministero per i Beni Culturali e aperto al pubblico ; dal 2012 è anche sede del Museo Nazionale del Molise.
Gli ambienti visitabili sono ubicati su due piani: il secondo piano racconta con affreschi a tema bucolico, sculture , tele disegni e stampe la storia dal medioevo al barocco con opere provenienti dal Museo di Capodimonte , dalla Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma e dal Palazzo Reale di Caserta.

Ma sicuramente quello che cattura di più il visitatore è il primo piano, quello nobile, dove il Conte fece realizzare un ciclo di affreschi, quasi un album fotografico dei suoi cavalli preferiti che lui stesso allevava e addestrava.


Si contano venti immagini ma solo nove si sono conservate nel tempo integre; sono immagini in bassorilievo a grandezza naturale , i cavalli sono eseguiti con una tecnica mista su un livello di intonaco e poi dipinti a affresco in modo da esaltare l’effetto volumetrico e ognuno di essi riporta a lato un morso, il nome, la razza, l’età, la sella, il destinatario e il monogramma del Conte Enrico Pandone.
Nella Sala dedicata ai purosangue da passeggio si notano selle e staffe a pianta larga adatte a calzature leggere , sono questi gli affreschi meglio conservati , dove traspare tutta la fierezza dei cavalli .
Nella Sala dei cavalli da guerra (si ipotizza che fosse lo studio del Conte Pandone), i cavalli dovevano ostentare tutta la ricchezza nobiliare del loro padrone e lo sguardo del visitatore viene catturato in assoluto dall’affresco del purosangue preferito da Enrico, donato all’Imperatore Carlo V per ringraziarlo di avergli ceduto la Contea di Bojano; il cavallo ha una sella più lavorata di tutti gli altri, tanto da sembrare coperta di una stoffa di velluto con motivi floreali e con cinghie colorate mentre sulle altre pareti si osservano esemplari di cavalli ceduti a nobili napoletani e al Duca di Calabria Ferdinando d’Aragona .
Sono andati persi invece gli affreschi nel Salone delle feste ricoperti da intonaco ma tutto intorno sulle quattro pareti si leggono scene di caccia con lo stemma nobiliare dei di Capua che sono stati, appunto, gli ultimi proprietari del castello.