di Riccardo Bramante
Il 15 aprile di 30 anni fa moriva di polmonite in un ospedale di New York (strane coincidenze storiche visto gli accadimenti attuali!) la grande attrice Greta Garbo.
Nata in Svezia Greta Lovisa Gustafsson ebbe semplificato il suo cognome quando iniziò a girare giovanissima i suoi primi film, sembra ispirandosi a un Gabor principe della Transilvania. Dopo piccole parti, lavorò in un film, “ La leggenda di Gosta Berling” che non ebbe molto successo ma le permise di conoscere il regista Georg Pabst che, nel 1925, ancora all’epoca del film muto, la volle come protagonista di “La via senza gioia” in cui emersero le grandi capacità espressive dell’attrice.
Il passaggio al film sonoro non fu facile per la Garbo a causa della dizione non buona della lingua inglese che allora dominava tutte le produzioni; tuttavia, nel 1930, gira il suo primo film parlato “Anna Christie”, ma è nel 1931, con “Mata Hari” che la Garbo si fa conoscere a livello internazionale nella parte della misteriosa spia-seduttrice così aderente alla sua vera personalità.
Seguono poi altri film di grande successo, tra cui “Anna Karenina”, “La Regina Cristina”, “Ninotchka”; ma bastano solo 25 film in tutto per farla ricordare come l’attrice più amata del cinema muto degli anni ’20 e di quello sonoro degli anni ’30 e per renderla immortale come la “Divina”. Infatti, proprio a 36 anni, al massimo della popolarità, si ritira dalle scene e dalla vita mondana per rinchiudersi nel silenzio della sua grande casa a Manhattan tra i suoi ricordi e la preziosa collezione di quadri tra cui anche un Renoir.
Quali i motivi di una decisione così drastica? Sicuramente ci fu il desiderio di sfuggire ad una popolarità che non le permetteva più di avere una propria vita privata, sempre inseguita da fotografi e da dicerie sulle sue storie sentimentali alimentate spesso ad arte (la stessa Marlene Dietrich raccontava di essere stata la sua amante) anche se sovente vere come quelle che la legarono alla star del cinema muto John Gilbert o al musicista Leopold Stokowski con cui trascorse una romantica vacanza in Italia alloggiando alla Villa Cimbrone di Ravello. Ma soprattutto nella decisione ha giocato l’aspetto psicologico: le origini povere ed umili da cui proveniva, la severità e la precisione tutta nordica sempre presente nella vita di tutti i giorni (pretendeva di iniziare a lavorare alle 8 in punto e di finire sempre alle 18 qualunque fosse la fase di lavorazione in cui era impegnata), l’innata timidezza non le consentivano di sopportare il peso della notorietà anche quando rivestiva i panni della normale donna come tutte le altre. “Non ho mai detto ‘voglio essere sola’ ma ho detto ‘voglio essere lasciata in pace’”, questo ha ripetuto sempre a chi le chiedeva ragione del suo isolamento e anche, con una punta di vanità tutta femminile, perché non voleva farsi vedere invecchiare temendo di perdere l’aura di mistero che tanto piaceva al suo pubblico.
E forse anche questo allontanamento dalla vita di società ed il silenzio a cui si era votata ha contribuito a rafforzare il suo mito.