Di Riccardo Bramante

A pochi mesi dal trentennale della sua morte, avvenuta nel 1989, e complice anche la forzata “reclusione” a casa imposta dalle attuali circostanze sanitarie, ci siamo trovati a riscoprire la grandezza di  uno dei nostri più grandi registi attraverso la riproposizione di numerosi suoi film da parte della televisione, Sergio Leone.

Agli inizi della carriera, grande merito di Leone fu quello di interrompere il filone dei cosiddetti film “peplum”, dagli abiti che indossavano gli attori di storie ambientate nell’antica Grecia e nell’antica Roma e dintorni (anche se pure lui si era fatto sedurre dal genere dirigendo “Il colosso di Rodi”).

E’ così che nacque nel 1964 il film “Per un pugno di dollari” in cui, peraltro, si firmò Bob Robertson, americanizzazione di Roberto Roberti nome del padre regista, anch’esso al tempo dei film muti. Fu l’inizio della fortunata serie delle pellicole qualificate con non dissimulata ironia “spaghetti western” che poco aveva a che fare con i classici western americani che eravamo abituati a conoscere basati quasi sempre sul dualismo “bianchi civilizzatori contro indiani cattivi”.

Per la verità. Leone per questo film si era ispirato liberamente allo schema del film giapponese “Yojinbo” di Akira Kurosava adattandolo, però, agli ambienti e alle figure del western americano facendone protagonista un attore anch’esso americano fino ad allora poco conosciuto, Clint Eastwood, cavaliere solitario e taciturno ma che rimane impresso agli spettatori anche se, come diceva lo stesso Leone “aveva solo due espressioni: una con il sigaro in bocca e l’altra senza”.

A questo film seguirono nel 1965 “Per qualche dollaro in più” e nel 1966 “Il buono, il brutto e il cattivo”, completando quella che è conosciuta come “la trilogia del dollaro”.

In tutti questi film sono facilmente distinguibili i segni che caratterizzano i lavori di Leone: sequenze con lunghi silenzi che preannunciano eventi minacciosi, primi piani degli attori con i visi impassibili di misteriosi “giustizieri”, il “cigarillo” di Clint Eastwood, il tutto accompagnato dalle musiche inquietanti di Ennio Morricone che da questo momento inizia la sua lunga collaborazione con il regista.

Nel 1967 Leone dirige quello che avrebbe dovuto essere nelle sue intenzioni l’ultimo western da lui realizzato: ”C’era una volta il West” girato con un alto budget di spesa e con attori del calibro di Henry Fonda, Charles Bronson, Claudia Cardinale e Gabriele Ferzetti e con la collaborazione anche di due altri grandi registi, Bernardo Bertolucci e Dario Argento.

Il film è una lunga, violenta e talvolta sognante rivisitazione della mitologia del West, diverse volte rielaborato e oggi proiettato nel montaggio voluto dal regista stesso della durata di 175 minuti.

Dopo “Giù la testa” del 1971, in cui Leone per la prima volta sembra attratto da riflessioni sull’umanità in generale e sulla politica con le sue guerresche implicazioni, arriva nel 1984 quello che a parere della maggior parte della critica viene considerato il suo film più importante:” C’era una volta in America” in cui Leone abbandona il tema del western e si ispira al mondo dei gangster che dilagavano in alcuni Stati americani negli anni ’20, quelli del Proibizionismo.

E’ la storia di quattro ragazzi del quartiere ebraico di New York che passano dai piccoli furti ad imprese di più larga e rischiosa portata fino alla morte di tre di essi. Ciò che suscita il film non è tanto l’orrore per le violenze dei classici film di gangster quanto la nostalgia di un periodo, quello della movimentata giovinezza dei quattro protagonisti, rivista ad anni di distanza con flashback e flashforward da David “Noodles” Aronson, interpretato da un grande Robert De Niro, a cui fa accompagnamento, anche in questo caso, una indimenticabile colonna sonora di Ennio Morricone che ci porta fino ad una conclusione amara che non è certo quella tradizionale.

Alla fine, anche se non adeguatamente apprezzato in vita, Sergio Leone trova ora il suo meritato riconoscimento di cui gioirà dalla sua tomba nel piccolo cimitero di Pratica di Mare tra i paesaggi da lui amati.