di Cinzia Baldazzi

«Visitare terre lontane e conversare con genti diverse rende saggi gli uomini»: è una delle “frasi celebri” del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes riportate da Fabrizio Trainito nella sua plaquette intitolata Il valletto di Don Chisciotte. Chi sarebbe costui? Si chiama Lucas, e cercherà in tutti i modi – impresa non facile – di unirsi alla mitica coppia di viaggiatori, il cavaliere e il suo scudiero Sancho Panza.

Il principale quesito sorto dinanzi alla short story di Trainito è quale mai sia stato il Kunstwollen (“volere artistico”) che lo abbia guidato a centrare l’obiettivo creativo su un ipotetico personaggio minore del celeberrimo capolavoro, in una sorta di personalissimo spin off sulla traccia ideale dei brani compresi nel precedente libro Racconti minori dell’Iliade e dell’Odissea.

El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha (1605-1615) costituisce non solo il testo più pregiato del Siglo de Oro, nonché dell’intero repertorio spagnolo, ma l’esempio in scala mondiale del primo romanzo moderno: in ambito anglosassone gli si contrappone, agli inizi del Settecento, l’opera dell’inglese Daniel Defoe.

Il sociologo francese Michel Foucault, autore di straordinarie pagine su Cervantes nel volume Le parole e le cose, ha osservato:

Don Chisciotte non è l’uomo della stravaganza, ma piuttosto il pellegrino meticoloso che fa tappa davanti a tutti i segni della similitudine.

 

Incontriamo così, mescolati con bizzarria, elementi della classe picaresca e del cliché epico-cavalleresco, nello stile del catalano Tirant lo Blanch (1490), romanzo di cavalleria di Joanot Martorell, e del Amadís de Gaula, novela caballeresca di Garci Rodríguez de Montalvo (pubblicata in inglese nel 1590). I due protagonisti ideati da Cervantes, Alonso Chisciano (o Don Chisciotte), insieme a Sancho Panza, sono tra i major characters della letteratura di ogni tempo. Dunque, ecco forse il perché, prezioso e inquietante, dello scriverne di nuovo, inventando peraltro, con la fantasia, un’inedita figura che non è hidalgo, ma individuo modesto e misero al pari di contadini, galeotti, prostitute, i quali d’altronde popolano numerosi il genere picaresco. Fabrizio Trainito sembra del resto ben conscio di quanto affermava Foucault:

I romanzi di cavalleria hanno scritto una volta per tutte la prescrizione della sua avventura […]. Somigliando ai testi di cui è il testimone, il rappresentante, l’analogo reale, Don Chisciotte deve fornire la dimostrazione e farsi portatore del segno indubitabile che dicono il vero, che sono il linguaggio del mondo. Gli tocca adempiere alla promessa dei libri.

Il Lucas di Trainito sembra accettare la sfida di rinnovare una simile promessa. Aveva ancora ragione Foucault:

Con i loro giri e rigiri le avventure di Don Chisciotte tracciano il limite: in esse hanno termine i giochi antichi della somiglianza e dei segni; in essa già nuovi rapporti si stringono.

Il racconto di Trainito, di “rapporti” originali con Chisciotte e Sancho Panza – e il relativo microcosmo – ne stringe in effetti di continui, con sorprendenti domande in progress, come avviene nel capitolo «I mulini a vento»:

Sancho diede una pacca sulla spalla al nuovo valletto e trotterellò dietro al padrone sulla sua più lenta cavalcatura. Lucas rimase lì, inebetito dalla circostanza e incapace di decidere il da farsi. Di certo li avrebbe seguiti, ma dove? In battaglia contro chi? Con quali armi?

Lo stravagante signore della Mancha, con a fianco lo scudiero Sancho, nelle pagine di Cervantes anticipa il dramma che, tre secoli dopo, vivrà Lucas tra le righe della neo-creazione di Trainito. Nel finale di Cervantes, per le illustri figure rinascimentali la scrittura non sarà più la prosa del mondo, l’arcaico legame tra le similitudini e gli indicatori pertinenti è destinato a sciogliersi: le cose appariranno soltanto se stesse, vagando nel caos del confronto affidato all’avventura perpetua. Il parallelo è con il mondo di oggi, con il linguaggio odierno, quando molto di frequente il codice si espande privo di contenuto attendibile, debole nell’instaurare analogie con il referente, al punto da rendere noi lettori riluttanti a considerarle effettivo contrassegno del messaggio trasmesso.

Ad un tratto, il Don Chisciotte “rivisitato” da Trainito si rivolge a Lucas spiegando:

«Devi capire, mio valletto, che le insidie del mondo sono tali che le forze di un solo cavaliere non sono sufficienti a ristabilire l’ordine della giustizia».

Ma quali “insidie”? Lucas non capiva ed era spiazzato dalle parole del prode signore.

«Vedi questi mostri infami?», proseguì Don Chisciotte. «Sapevo che da solo sarei capitolato. Ma che potevo fare? Potevo forse lasciare nel mondo il male e l’ingiustizia? Dovevo provarci, anche se le speranze di sopraffare questo infido nemico erano poche».  

Di tanto in tanto, tra le pagine, i disegni in bianco e nero dello stesso Trainito aiutano a illuminarne la trama. I personaggi somiglianti all’opera di base non rammentano più i tratti degli esseri visibili che evocano: li ricostruiscono invece in un cammino coincidente con la ricerca di assonanze non tra vero e falso, sano e folle, magico e realistico, piuttosto tra la gioia e il dolore, i sogni infranti e la dignità, il coraggio e la vigliaccheria. Ne scaturisce una lucida dialettica pensiero-cultura, dove Trainito riapre a suo modo l’èra di una similitudine cavalleresca non nella forma di vana idolatria (ridicolizzata dallo stesso Cervantes) ma come teatro di buoni sentimenti, decisioni proficue, generosità d’animo: Lucas lascia dietro di sé solo giochi vantaggiosi tra i poteri magici, accanto a un’inedita parentela tra affinità e illusione intenta non a sopperire al reale, semmai a migliorarlo.

I segni o i segnali, i messaggi-contenuto de Il valletto di Don Chisciotte suggeriscono una comprensione edificata su fantasticherie intrecciate a fasci di una conoscenza la quale ancora non si è resa responsabile di dover essere materialmente verificata. Come in Cervantes, accogliamo il segno di una nuova esperienza di linguaggio e di cose, collocati in una vicenda-limite capace di confermare tra loro reciproche estraneità ed energiche risorse nella contestazione che ne emerge.

E nelle ultime pagine, Sancho svela a Lucas le caratteristiche essenziali dell’eccentrico caballero:

«Non è cattivo, non è completamente pazzo, ma vive in un mondo suo, in cui ancora trova i valori cavallereschi, che oggi la rozza società ha dimenticato. Vorrebbe esser eroe, ma spesso è solo un pagliaccio».