EArt Magazine oggi intervista Antonello Fassari davvero un riferimento ed icona dello spettacolo con al suo attivo ben 48 anni di carriera, 93 film girati come attore o regista, 50 spettacoli teatrali più le tante serie televisive, a cominciare dal ruolo di Puccio ne “I ragazzi della III C” fino allo zio Cesare ne “I Cesaroni”, grandissimo successo Mediaset che lo ha definitivamente imposto a tutto il pubblico italiano.
Diplomato alla Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico, Antonello Fassari ha iniziato molto presto a fare radio e televisione, trovando anche il tempo, nel 1984, di incidere una canzone, “Romadinotte”, con base elaborata, tra gli altri, da Danilo Rea. Ma è il teatro la sua vera passione che lo ha spinto, nel 2004, a mettere in scena ed interpretare “La ricotta” di Pier Paolo Pasolini, opera per quel tempo troppo all’avanguardia e, pertanto, in qualche modo “oscurata”. Dei suoi tanti film girati possiamo qui ricordare i più recenti “Il segreto del giaguaro”, di cui è stato regista e invece, come attore “Assolo” di Laura Morante e “Suburra” di Stefano Sollima.
Numerosissimi i premi vinti durante la sua lunga carriera e, in proposito, ci piace partire dall’ultimo premio assegnatogli lo scorso mese, il “Premio Internazionale Cultura, Arte, Spettacolo ed Ambiente – Città di Palinuro” promosso dalla Academy of Art and Image di Paola Zanoni per omaggiare “personaggi ed eccellenze di chiara fama legate in maniera diretta o indiretta alla città” in collaborazione con autorità istituzionali rappresentate dal Sindaco di Centola Carmelo Stanziola nonché con l’Associazione Artisti Cilentani.
Allora, Antonello, cosa ha rappresentato per te questo premio e quali sensazioni hai provato nel riceverlo?
“Bellissime sensazioni, proprio perché Palinuro ha una vocazione non solo italiana ma internazionale e tutta l’organizzazione è stata molto partecipata, a partire dai rappresentanti di questo splendido territorio del Cilento fino ai membri della Associazione SICS (squadra italiana cani di salvataggio) premiati, questi ultimi, per la loro attività che ha portato l’Italia ad essere tra le migliori in questo campo. Avevo già conosciuto Palinuro nel lontano 1993, quando vi andai per presentare una edizione del Cantagiro, e la ho trovata ancora più bella ed attraente; e dico questo con grande piacere anche perché essendo io testimonial del FAI (Fondo Ambiente Italiano) per la tutela e valorizzazione del patrimonio anche naturale italiano, ho trovato in questo territorio una cura particolare nel preservarlo da contaminazioni e danni all’ambiente”.
Ritornando a te e alla tua professione, cosa pensi del cinema e del teatro oggi?
“Credo che l’aspetto più critico sia il fatto che i giovani che vogliono intraprendere questa professione non possono fare gavetta come facevamo noi in passato; oggi sono costretti a diventare subito “grandi” con la conseguenza che, a parte alcune eccezioni, non esiste più una classe media di attori, per cui , come mi è capitato, mi sono trovato a fare film dove a partire dal regista fino a tutto lo staff tecnico erano tutti sotto i 35 anni e, perciò, senza una vera esperienza sul campo ma soltanto basandosi su quanto avevano appreso nelle varie, e anche troppe, scuole d’arte.
Ho lavorato con tanti registi importanti, da Vanzina a Ronconi a Eduardo De Filippo, e ho imparato che fondamentale è il lavoro di gruppo e le conoscenze e capacità individuali non sono sufficienti se non supportate da un insieme di persone altrettanto valide”.
“I Cesaroni” è stato il tuo più grande successo televisivo; è stata la serie più lunga della tv italiana per numero di serate: cosa pensi che abbia attirato così tante simpatie tra il pubblico?
“Penso sia dovuto al fatto che abbiamo rappresentato la vita vera, quella di tutti i giorni della maggior parte delle famiglie italiane che si sono immedesimate in noi e che hanno condiviso le problematiche che portavamo sullo schermo e, perché no, anche le soluzioni, quelle che io chiamo “metodo Cesaroni”, talvolta anche truffaldine ma sempre con una base realistica. Nella serie televisiva abbiamo trattato tematiche anche forti per la società italiana tanto che all’inizio abbiamo avuto qualche protesta anche dal Vaticano che non vedeva di buon occhio che venissero trattati problemi all’interno della famiglia, tra figli e genitori, riguardanti anche alla lontana il sesso. Ma nonostante ciò il successo c’è stato e mi ha portato a vincere anche un Telegatto dopo quelli che avevo già vinto per “I ragazzi della III C” e per “Avanzi”. Mi è certamente dispiaciuto che la serie non abbia avuto un seguito perché le storyline di molti personaggi non si sono concluse lasciando gli spettatori con diversi interrogativi e, in tanti casi, con l’amaro in bocca; capisco d’altra parte che era una produzione che richiedeva un impegno economico forte anche se il ritorno, in termini di pubblicità, era stato notevole”.
Tornando ai progetti attuali, cosa devono aspettarsi i tuoi numerosi fans?
“Attualmente stiamo portando avanti un lavoro che si intitola “Eduardo’s rock”; è un omaggio al grande Eduardo De Filippo attraverso la lettura di brani di sue opere come “Questi fantasmi”, “Filumena Marturano”, “Uomo e galantuomo”; il tutto inframezzato da miei ricordi dell’uomo De Filippo come lo avevo potuto conoscere al di fuori della scena nella sua vita privata. Credo che questo sia un modo di avvicinare il pubblico a questa icona del teatro facendolo vedere anche nei suoi momenti più personali e familiari. Dal 23 al 27 ottobre saremo poi al Teatro Flaiano di Roma con un testo intitolato “Silenz” del regista Sergio Pisapia in cui si tratta il tema tanto attuale dello stupro nei confronti delle donne in cui ricordiamo che il primo stupratore lo possiamo trovare già nella mitologia greca e romana nella figura di Dioniso”.
Un breve parere, per finire, su come vedi tu la situazione nel mondo dello spettacolo oggi.
“Purtroppo oggi questo mondo è in mano ai funzionari ed ai burocrati; le sovvenzioni statali vengono date alle persone più che alle idee, la qualità passa in secondo piano e questa situazione cambia anche la figura del produttore che, salvo rarissime eccezioni, non può essere più autonomo, indipendente, perché deve fare i conti con questi aiuti esterni che non sempre arrivano”.
Riccardo Bramante