di Riccardo Bramante 

Bob Woodward è un giornalista americano con quasi 50 anni di carriera alle spalle e un Premio Pulitzer vinto con il libro sul caso Watergate che portò alle dimissioni dell’allora Presidente Richard Nixon.
Esce ora con questo libro “Rage” che è il secondo scritto sull’attuale Presidente Donald Trump dopo “Fear. Trump alla Casa Bianca” in cui aveva raccolto una serie di informazioni riservate su ciò che avveniva all’interno del palazzo presidenziale, non risparmiando già da allora apprezzamenti poco lusinghieri sull’inquilino definito “leader emotivamente agitato e imprevedibile”.


Questo nuovo lavoro è un resoconto di questi primi quattro anni di mandato ed è particolarmente interessante per capire non solo la psicologia di questo Presidente assolutamente fuori dai canoni classici della diplomazia, ma anche per essere edotti “di prima mano” sul suo pensiero a proposito di quello che è oggi il massimo problema all’attenzione di tutto il mondo: l’epidemia di Covid-19.
Si tratta di ben 17 interviste registrate su nastro durante le quali Trump ha anche fatto dichiarazioni potenzialmente autoincriminanti come quando afferma che era a conoscenza della diffusione del virus già dai primi giorni di febbraio 2020 ma di aver taciuto, nonostante le raccomandazioni contrarie dei suoi consiglieri, per non creare panico tra la popolazione con le conseguenze oggi ben note che vedono gli Stati Uniti tra le Nazioni più colpite dalla malattia.
Non meno indicativi della quantomeno “abnorme” personalità di Trump sono quelli in cui viene descritto come abbia “liquidato” i collaboratori da lui stesso scelti, a cominciare dall’ex Segretario di Stato Rex Tillerson estromesso perché voleva essere informato sui contatti diretti che il Presidente aveva instaurato con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un; e poi ancora il senatore repubblicano dell’Indiana Dan Coats, prima messo a capo della CIA, che apprende di essere stato dimesso direttamente dal New York Times appena un’ora dopo essere stato a colloquio con Trump che non aveva minimamente accennato alla decisione già assunta.
C’è poi la ricostruzione dettagliata, sulla base di 25 lettere personali mai rese note, dei rapporti fra Trump e Kim Jong-un in cui la brutalità dell’americano cede alla verbosa adulazione del nordcoreano che, da buon orientale, sa bene come toccare le corde più sensibili del suo corrispondente sfruttandone la vanità ed il super-ego fino a definire il loro rapporto un “film fantasy”.
Da tutti gli episodi raccontati, presentati in maniera estremamente giornalistica, senza alcuna velleità letteraria, come è nello stile di Woodward, emerge una figura umana che poco ha di umano, che “non conosce la differenza tra verità e bugie” (Rex Tillerson dixit), in cui ogni dichiarazione è un vanto di se stesso, un misto di arroganza e senso di onnipotenza.
Un libro da leggere, dunque, soprattutto da parte del popolo americano in vista delle prossime elezioni e da meditare anche da noi europei ed italiani per ben guardarci da personaggi che fanno dell’arroganza e della presunzione il modo di rapportarsi con l’esterno.